lunedì 19 giugno 2017

Distillare l'intelligenza.


G
uardando questa immagine di Pier Leone Ghezzi ho pensato che: molti (anch'io) scambiano le energie sottili per fluidi grossolani, invertendo il significato col significante. Così si potrebbe tentare di distillare l'intelligenza dal cervello o sublimare il coraggio dal fegato, e si rimarrebbe con un pugno di mosche: sarebbe come cercare di estrarre la luce da una lampadina spezzandone il vetro come il guscio d'un uovo.

Valentina Fagnani (vF)

martedì 13 giugno 2017

Il mondo come passaggio.

Il mondo come passaggio, una immersione nella sfera del tempo, che delicatezza! (1600)

Valentina Fagnani (vF)

Il ricatto della parola.

"Il contenuto mistico di certe formule conferisce loro un potere magico temibile. Migliaia di uomini si fecero uccidere per parole che non potevano comprendere e del resto sprovviste di senso razionale" (Gustave Le Bon, Psicologia delle folle, 1895)

Articolo: Oratoria, retorica, il saper parlare. Analisi del discorso di Marco Antonio.

Valentina Fagnani (vF)

mercoledì 31 maggio 2017

Necessità.

A quanto pare, se su un foglio segnate le posizioni della Terra e di Venere, le unite con una linea e aspettate otto anni, vi viene fuori una cosa tipo questa. (O anche: l'evidenza di come come la Necessità da piccola giocasse con lo spirografo)! Bellissimo!

Valentina Fagnani (vF)

lunedì 15 maggio 2017

Hertz!

L'ingresso della biblioteca Hertziana è un aspetto della mia psiche.

Valentina Fagnani. (vF)

'Il gesto generoso'.

"Le mani - si legge nella descrizione dell'opera - sono strumenti che possono tanto distruggere il
mondo quanto salvarlo, e trasmettono un istintivo sentimento di nobiltà e grandezza in grado anche di generare inquietudine, poiché il gesto generoso di sostenere l'edificio ne evidenzia la fragilità"...

Valentina Fagnani (vF)





Foto: Venezia Today.

venerdì 12 maggio 2017

La prigione dell'anima. vF

Una figlia allatta la propria madre in prigione, per evitare che muoia di fame. La prigione come simbolo di uno stato spirituale, dell'anima devastata ed abbandonata a sé stessa, tormentata da una fame del tutto diversa da quella corporea. L'immagine è a mio avviso commovente e la dedicherei a tutti quelli che hanno compreso il concetto percependo un brivido sulla pelle!

Valentina Fagnani (vF)

giovedì 11 maggio 2017

La tristezza: un appetito che nessun dolore sazia.

La tristezza: un appetito che nessun dolore sazia, scriveva Emil Cioran. Abbiamo trasformato la tristezza in un problema da superare e non l'abbiamo riconosciuta come soluzione dei problemi. La tristezza, presa con maestria, è la chiave di volta della vera felicità: bisogna imparare a concedersi il lusso di essere tristi. 
Costretti alla felicità, siamo vincolati alla produzione: felice, dal verbo greco phyo, significa infatti fecondo, produttivo. Ma la nostra è una felicità intensiva, d'allevamento, i cui frutti troppo grandi e numerosi piegano l'albero che siamo sotto il peso della paura di vivere.
In questa massificazione della felicità, in quest'obbligo all'abbondanza soltanto la tristezza può salvarci: l'inquinamento luminoso della nostra fame chimica di conoscenza ci impedisce di guardare dritti alle nostre stelle polari. La parola "tristezza" (dal sanscrito trsta, oscuro, torbido) racconta quel ritorno all'oscurità che è il solo a permettere una chiara visione del cielo. E se ha ragione Cioran quando scrive che «se una sola volta fosti triste senza motivo, lo sei stato tutta la vita senza saperlo», io credo anche che «se una sola volta fosti felice senza motivo, lo sei stato tutta la vita senza saperlo».

Valentina Fagnani (vF)

domenica 7 maggio 2017

Vulva Pellegrina!

Ciao! La sera di Pasquetta...Biagio ci introdusse fedelmente et miracolosamente al discorso vulva femminile. Bene, a riguardo di ciò promisi visioni medievali e realissime di ella inserita serenamente in luoghi pubblici e senza pudori. ​Vi lascio quindi con la mia adorata Vulva pellegrina con bastone fallico, ​a mio modesto parere, una meraviglia!​ I pellegrini portavano con sé questi oggetti perché tenevano lontani gli spiriti malvagi. E le chiese erano pieni di questi soggetti. Il senso del pudore avviene con la trasformazione del corpo in statua, con l'estetiche borghesi del rinascimento ed è una cosa che non ha rapporti con le culture precedenti. Non c'era nessun tipo di moralismo nei rapporti con il corpo nelle società contadine... Interessante non so, per me si...ma di certo, fa riflettere! Sogni d'oro...!

Valentina Fagnani (vF)

domenica 9 aprile 2017

Nel 1973 una donna analfabeta scrive al marito emigrato in Germania dalla Sicilia.

Articolo di Valentina Fagnani (vF).

Questa è una lettera che nel 1973 una donna analfabeta scrive al marito emigrato in Germania dalla Sicilia. Scrive disegnando quello che sa, la storia minima di quello che succede nella famiglia. Si vedono operai che lavorano la terra, cuori, fedi intrecciate, il parroco che indica cosa votare alle prossime elezioni, il Natale. Mi sono immaginata questa donna nell'atto di tradurre quello che ha nel cuore e non trovando le parole per dirlo si è risolta nel disegnarlo: anche queste sono pitture rupestri, solo degli anni '70. Gesualdo Bufalino ha provato a tradurla di nuovo in parole scritte...

giovedì 12 dicembre 2013

Ex Drummer.

Tre musicisti punk disabili di Ostenda (Belgio) sono alla ricerca di un batterista; per entrare nella band è necessario però avere un handicap: quello del nuovo membro è il non aver mai suonato una batteria.
Nascono in questo modo i "The Feminists". La prima volta che vidi questo film pensai subito ad una cosa: o il regista fiammingo Koen Mortier era riuscito a scovare un manipolo di fantastici attori (incredibilmente) ancora sconosciuti, oppure aveva condensato nella pellicola un branco di punk ritardati, tossici e fuori di testa, ignari della presenza delle telecamere. Tra i film indipendenti migliori del nuovo millennio, una colonna sonora unica (Lighting Bolt, Isis, Mogwai, Funeral dress ed altri) che esplode in un tripudio di concerti punk, sudicio, grottesco, disagio e sangue. Rivedendone qualche scena di recente, mi è subito balzata alla mente la sfrontata e agognata bellezza di cui si pervadono i 114 minuti di 'sporca' pellicola.

vF

giovedì 5 dicembre 2013

Vergine Maria che scioglie i nodi.



Originalissimo dipinto tedesco di inizio Settecento, raffigurante la Vergine Maria che scioglie i nodi (Virgen Maria Knotenlöserin), molto caro a Papa Francesco e assai noto in America Latina, proprio per iniziativa dell'allora studente di teologia Jorge Bergoglio in soggiorno di studio in Germania. Il valore simbolico e profondamente umano di questa immagine mi sembra straordinario. Forse la psicologia del profondo non è nata con Freud, e gli archetipi dell'invocazione di aiuto trascendente di fronte ai tanti nodi in cui si aggroviglia talvolta la nostra esistenza sono radicati in tutte le manifestazioni umane di spiritualità. In questo, tutte le fedi sono sorelle e tutti gli esseri umani sono fratelli.

vF

mercoledì 13 novembre 2013

Stari Most.

Il 9 (ed oggi non lo è ma evidentemente il 9 ero affetta da acuti e circoscritti attacchi di pigrizia) novembre 1993 lo Stari Most, il ponte costruito tra 1566 e 1567, e divenuto nel corso dei secoli uno dei simboli della storica convivenza tra musulmani e cristiani in Bosnia Erzegovina, viene distrutto dai bombardamenti dei secessionisti croati. Fu un atto a cui tutti -serbi, bosniaci, croati, media, opinione internazionale- assegnarono un valore assoluto, ed effettivamente rappresentò una sorta di punto di non-ritorno: il dramma bosniaco, a quel punto, non poteva più esser nascosto da nessuno nei confronti di nessuno. Se un giorno passate da quelle parti, aldilà del suo valore storico, fermatevi a Mostar, la città è molto bella e l'area intorno al ponte -ricostruito, ovviamente- merita qualche ora del vostro tempo.

vF

domenica 27 ottobre 2013

Suspiria.

"Suspiria" (1977), pellicola simbolo del passaggio completo di Dario Argento all'horror movie.
Dopo il primo assaggio di genere con il supremo "Profondo Rosso" (ancora debitore nelle tinte thriller alla "trilogia degli animali"), il regista romano firma il suo capolavoro e vede aperte le porte della famainternazionale, con un incredibile e meritato successo negli Stati Uniti ed in Giappone. Un ruolo fondamentale e vincente spetta alla fotografia; l'uso smodato di luci ad arco e lenti anamorfiche dona un clima surreale alla pellicola, caratterizzata da una straniante distribuzione visiva del colore nelle riprese, inzuppate in una profondità di campo onirica.
La colonna sonora dei Goblin diventa ancora più trainante rispetto a "Profondo Rosso", con un alternarsi dei silenzi magistrale: il vero asso nella manica del film. Guardare "Suspiria" armati di buone cuffie può diventare un'esperienza traumatica ma obbligatoria.

vF

giovedì 24 ottobre 2013

Alice in Chains.

Gli Alice in Chains, personalmente, li ho sempre visti vicini alla scena hard/heavy, forse per i loro tour insieme a gruppi della scena metal, o per gli arrangiamenti, più sofisticati rispetto alla media del "Seattle sound".

Nei primi anni 90 la stampa musicale ed il mondo discografico infilò nel calderone grunge chiunque suonasse alternative rock (l'esempio dei Blind Melon e degli Spin Doctors è abbastanza palese), più per creare un movimento che per vicinanza stilistica, mettendo sotto contratto un altissimo numero di bands.

Anche tra i padri del genere spesso i punti di contatto non sono moltissimi, basti pensare alle enormi differenze tra Nirvana e Pearl Jam.
Gli AIC hanno percorso un tragitto tormentato, chiuso (reunion a parte) da un tristissimo epitaffio; la tragica fine di Layne Staley.


vF

Porcelain Raft a Roma.

Mauro Remiddi, aka Porcelain Raft, è un compositore, autore e musicista nato al Roma nel 1972. Attualmente vive a New York.
Nel 1997 ha scritto la colonna sonora del corto La Matta dei Fiori di Rolando Stefanelli, vincitore del David di Donatello come miglior cortometraggio. Nel 1999 si è esibito al teatro La Mama di di New York durante lo spettacolo di tip tap Vaudeville 2000, per cui ha composto anche le musiche. Prima di trasferirsi in Inghilterra ha avviato una collaborazione stabile con Ra Di Martino, componendo le musiche e apparendo in tre suoi video (Not 360, Night Walker, August 2008). Nel 2003, Mauro Remiddi e l'artista/musicista Onyee Lo, hanno formato il duo Three Blind Mice, trasformato nel 2005 in Sunny Day Sets Fire. Nel 2008 ha collaborato con Filthy Dukes, cantando sulla traccia Somewhere at Sea, per l'album di debutto Nonsense in The Dark. Il suo primo EP, Gone Blind, è uscito con Acephale nel 2010. L'album di debutto di Porcelain Raft, Strange Weekend, è uscito nel gennaio 2012 con Secret Canadian.

LANIFICIO e RADIO ROCK  presentano
Life on Tuesday
Martedi 5 Novembre 2013
PORCELAIN RAFT in concerto + YOUAREHERE
Biglietto € 6 + d.p
Apertura Botteghino h. 21.00 | Inizio Concerti 21.30
Prevendite www.vivaticket.it
LANIFICIO159 | Via di Pietralata159/A - Roma
info@lanificio.com | tel. 06.41780081


Fonte lanificio.com

- 2012 - 


Porcelain Raft, o della fuga dei cervelli. La più bieca prassi giornalistica imporrebbe di rispolverare i soliti abusati frasari da terza pagina a proposito di questo artista romano, al secolo Mauro Remiddi, traslocato prima a Londra (si ricorda la sua militanza nei deliziosi Sunny Day Sets Fire) e attualmente domiciliato in quel di Williamsburg (New York), nel cuore pulsante del futurismo alternative odierno, dove ha registrato il suo primo album (che giunge dopo una lunga cometa di Ep e singoli vari) per conto di un'etichetta di prima grandezza come la Secretly Canadian. Un curriculum da far impallidire molti, non c'è che dire.

Eppure sarebbe il caso di non farne esclusivamente una questione di nazionalismo strapaesano, anche perché un lavoro come "Strange Weekend" merita molto di più. Il nostro uomo dimostra infatti di aver assorbito con estro prontamente ricettivo le vibrazioni più calde di questa nostra contemporaneità musicale spesso così imprevedibile, ricomponendo le molte vie del suo work in progress in un sound gassoso e luminescente, capace di avvolgersi in morbide spirali di suono rarefatto e di insinuarsi così negli strati più fluttuanti del pensiero.

Si potrebbe partire da "The End Of Silence" (o da "The Way In") per orientarsi nella proposta di Porcelain Raft, individuandone gli elementi salienti: una grazia delicata di voci e melodie in dormiveglia, pulsazioni che forse guardano alla musica house o forse no e, su tutto, la caligine carezzevole di synth che ammorbidiscono i contorni in un tenue luminismo atmosferico, fatto di macchie di colore e corpuscoli sottili.

I pigmenti new age di "Is It Too Deep For You?", la brina scricchiolante di "Drifting In And Out", la luce rugiadosa e densa, quasi lattea, che si rovescia sulle geometrie di "Put Me To Sleep", potrebbero far venire in mente (era già accaduto con la Casa del Mirto) mostri ormai sacri della premiata bottega chillwave del rango di Washed Out, Neon Indian o Memory Tapes, al pari di M83 (per i quali Remiddi aprirà il concerto italiano), Mgmt (sentite "Unless You Speak From Your Heart", hit potenziale) o di certe invenzioni di Daniel Lopatin. Legami e similitudini senza alcun dubbio credibili, ma occorre aggiungere che il canzoniere spremuto da "Strange Weekend" brilla e convince per la sua compiutezza in sé, per la forza di un'ispirazione gagliarda e originale.




"Strange Weekend" si propone così come una sorta di manifesto paradossale: è questo infatti il dream-pop immaginato da corrieri cosmici in pantofole nella solitudine metropolitana dei loro monolocali in subaffitto. È questo il suono abulico e tenerissimo della nostra solitudine disperatamente autosufficiente. In punta di piedi, sussurrato con la voce bassa (per non disturbare gli altri inquilini) e con le persiane abbassate. Che sia giorno o notte poco importa. Le città non dormono mai.

 - 2013 -
Era l’ispirazione la vera forza dell’esordio di Mauro Remiddi (aka Porcelain Raft), per una
esuberante scrittura lirica, che adagiava nelle braccia accoglienti del dream-pop una melanconia in bilico tra melodramma e poesia noir. Il tutto, per un songwriter regalato al mondo della pop music, ma di quella pop music che parla alla gente dei suoi ardori e dei suoi dubbi, una voce familiare in un mondo che corre sempre più veloce e stritola con il suo ritmo urbano i sogni residui. Nel suo secondo progetto i synth fanno spazio a piano e archi, allargando lo spettro di colori e toni: “Permanent Signal” è infatti un album che conferma tutte le emozioni dell’esordio “Strange Weekend”, ma con sfumature oniriche e riverberi umani. Il tono più riflessivo e sognante di questo nuovo capitolo della ricerca sonora di Porcelain Raft  non è un atto remissivo, ma è il frutto di una consapevolezza e di una volontà di esprimersi attraverso un suono meno definito ma emotivamente più presente. 

Le vibrazioni psichedeliche di “Minor Pleasure” sono una piacevole novità, un nuovo viatico che l’artista percorre per raggiungere nuove soluzioni sonore: è quasi un incontro tra le evoluzioni lisergiche degli Spiritualized e l’evoluzione del glam nelle lande berlinesi quello che anima anche “Five Minutes From Now”. C’è del nuovo anche in “Cluster”, dove le chitarre avvolgono una materia grezza e informe, per poi trasformarla in un insieme di accordi sognanti e ipnotici, tutto diventa per un attimo più fisico. 
Emozioni più semplici sono ancora presenti e offrono conforto al suono più cupo e triste che caratterizza “Permanent Signal”: ariose melodie (“Open Letter”) e raffinati momenti introspettivi affidati al piano e a una solitaria tromba (“I Lost Connection”) allentano la tensione che “The Way Out” e  “It Ain't Over” mettono in gioco con distorsioni electro-rock. Archiviando due suggestivi momenti di relax che aprono e chiudono l’album (“Think Of The Ocean” e “Echo”) resta da segnalare un'incursione nel territorio dei Beach House e dei Radiohead, con la romantica e profonda “Night Birds”.


“Permanent Signal” non indugia nelle luminose melodie dell’esordio; il tono più dimesso ha infatti la stessa consistenza degli How To Dress Well e dei Deptford Goth, anche se Mauro Remiddi frequenta maggiormente il pop e la new wave anni 80, sfoggiando un candore che riesce a far luce sotto la coltre di polvere e indifferenza che aleggia in modo sinistro sulle sorti della musica moderna.


Fonte ondarock.it

martedì 22 ottobre 2013

10 Libri.

Il mio personale elenco dei dieci libri più importanti che conosca:

Borges Jorge Luis, 'Finzioni'; (1941)
Bronte Emily, 'Cime tempestose'; (1847)
Camus Albert, 'Lo straniero'; (1942)
Céline Louis-Ferdinand, 'Viaggio al termine della notte'(1932)
Cortázar Julio, 'Rayuela'(1963)
Dostoevskij Fedor, 'Delitto e castigo'(1866)
Joyce James, 'Ulisse'(1922)
Kafka Franz, 'Il castello'(1926)
Melville Herman, 'Moby Dick'(1851)
Tolstoj Leo, 'Anna Karenina'(1877)


Sono in ordine alfabetico per cognome autore, non per importanza. Includono solo gli ultimi due secoli di letteratura di tre continenti. Non ho volontariamente ripetuto uno stesso autore. La lista è stilata ad oggi, 21 ottobre 13, e ovviamente soffre delle lacune di tutto ciò che non ho potuto ancora leggere e/o conoscere e/o scoprire. Ho dovuto rinunciare a grandissimi libri. Alcune esclusioni sono ponderate, altre no. In quel caso ho semplicemente lasciato scegliere il cuore. Fra le scelte pensate, un titolo scansa quasi sempre -ed involontariamente- un altro simile, o paritetico, o paragonabile. L'idea era quella di sezionare il più possibile i generi e le peculiarità. Ciò non significa siano meno belli, importanti, interessanti, decisivi. Alcuni esempi: Ho preferito Borges a "pasto nudo" di Borroughs, poiché volevo una raccolta di racconti ed un libro rivoluzionario per stile, efficacia e bellezza... e ancora sono indecisa fra i due. Ho preferito Karenina a Madame Bovary, li ritengo affini. Allo stesso modo ho favorito Delitto e Castigo piuttosto che l'Idiota. Via dicendo. Kafka, fra i lavori di uno stesso autore, è stata la scelta più travagliata, stavo per mettere "america", più bello da leggere, poi "il processo", più sociale, alla fine ho scelto il Castello. Inserendo Kafka ho preferito (a malincuore!!) omettere Thomas Mann, con la montagna incantata, o i buddenbrooks, e rimpiango di non poter mettere il Tamburo di latta di Grass. Starebbero di diritto nella lista anche Il rosso e il nero di Stendhal e Il maestro e Margherita di Bulgakov, ma li ho letti troppo tempo fa e forse non fui pronta, al tempo, ad inquadrarli empaticamente con il dovuto senno. Non saprei comunque con chi sostituirli, dieci posti sono davvero troppo pochi. La lista, oltre ad essere totalmente inutile, è in perenne modifica. Potrei ripromettermi di fare questo esercizio tutti gli anni; non verrebbe stravolta (certe sono pietre inamovibili che mai, mai, cambierò) ma sono convinta che di un poco potrebbe mutare. Note singolari, non ci sono italiani. Gli unici secondo me degni di rosicchiare la cima dell'iceberg sono Gadda con la cognizione del dolore, e la Coscienza di Zeno di Svevo. C'è una sola donna, immensa, la Bronte, che solleva il dramma delle quote rosa. Grandi esclusi Goethe (su tutti), Dickens, Hugo, Dumas e Checov; di loro, ho letto troppo poco. A naso manca Proust, ma ancora non ho avuto tempo e coraggio di buttarmi nella ricerca del tempo perduto. Tutta la narrativa americana -che amo- è stata accantonata e, mi si perdonerà, dovrà essere tenuta sulle spalle del capitano Achab. Ergo, niente Fitzgerald, Hemingway, Salinger, Faulkner, Poe, Miller, Stein, James, Twain, Steinbeck, Nabokov (un piede in due scarpe), Heller, Pynchon e Foster Wallace (ancora troppo presto per parlare di questi ultimi tre, credo, seppur graditissimi ed amabili). Infine, generalizzando, ho provato a comparare altri libri straordinari che mi venivano in mente accostandoli ad ogni voce della lista qui completata. Al momento nessuno è riuscito a scalzare i presenti. Questo è quanto.

vF

lunedì 21 ottobre 2013

Califone.

I Califone sono una indie post-rock band sperimentale di Chicago, ben considerata dalla critica. Il nome della band deriva da quello dell’azienda Califone International, fabbricatrice di attrezzatura audio comunemente diffusa nelle scuole, librerie e aziende americane.



Breve storia.
Dopo lo scioglimento della sua band precedente, i Red Red Meat, Tim Rutili formò Califone seguendo un progetto personale di musica solo. Tale tentativo diventò presto un vero e proprio progetto musicale con una lista di contribuenti, sia fissi che a rotazione, nella quale entrarono a far parte sia membri della band precedente Red Red Meat che membri di altri gruppi musicali di Chicago.
La musica dei Califone è una combinazione del rock-blues dei Red Red Meat con ispirazioni prese da folk, pop americano, così come da band elettroniche come Psychic TV e Captain Beefheart e rielaborate a riprodurre un suono distintivo e originale.

Attualmente la formazione dei Califone comprende Joe Adamik (batteria), Jim Becker (banjo, violino), Ben Massarella (percussioni) e Tim Rutili (voce, chitarra, tastiera). Ogni membro della band tuttavia usa più strumenti.


Fonte wikipedia


CALIFONE
Roots & Crowns
2006


 di Gabriele Benzing

Ologrammi di un passato contemporaneo, reperti di un futuro remoto. Radici e corone. Spiriti della terra che si nutrono di polveri astrali.
I confini di tempo e spazio in cui fluttua la musica dei Califone hanno contorni indefiniti come ombre di fantasmi. Folk e blues come dramatis personae, maschere ancestrali riportate in scena attraverso un processo di destrutturazione e ricomposizione: questione di vento e silicio, corde e laptop, Dock Boggs e Phil Elvrum.

Ecco allora il tema portante della nuova fatica dei Califone: “Unire quello da cui vieni – le tue radici – con quello verso cui ti sforzi di arrivare – il coronamento”. “Roots & Crowns”. A spiegarlo è la mente pensante dell’ ensemble di Chicago, Tim Rutili: “Al fondo di queste canzoni ci sono le memorie e le immagini passate al setaccio nel corso del processo”, aggiunge.
L’ispirazione trae origine dalle pagine di un romanzo dello scrittore canadese Robertson Davies, “The Rebel Angels”, ironica vicenda di pulsioni omicide all’interno del microcosmo universitario, in cui le ambizioni accademiche di una delle protagoniste si trovano a fare i conti con le radici di un’origine zingara: “le nuove canzoni riguardano proprio questo: da dove vieni, dove sei, dove stai andando”, spiega ancora Rutili.

Riappropriarsi della tradizione ricevuta in eredità, senza accontentarsi di una stantia riproduzione del passato: sin dall’inizio della loro carriera, è sempre stata questa la sfida dei Califone. Come una rinascita che ha in sé la densità della memoria, come la luce di un nuovo giorno che dissipa le ombre della notte: “In the morning after the night/ I fall in love with the light/ it is so clear I realize/ and now at last I have my eyes”. Non c’è da stupirsi, allora, che il brano maggiormente rappresentativo di “Roots & Crowns” sia proprio una cover: i Califone rendono omaggio alle influenze della loro musica con una trasognata resa di “The Orchids” degli Psychic T.V., che Rutili racconta di avere ascoltato senza sosta durante la lavorazione dell’album, trovando tra le pieghe di quella soffice melodia lo spunto per ricominciare a scrivere canzoni.


Originale

Cover

Dopo il tour di “Heron King Blues”, Rutili è tornato a dedicarsi per qualche tempo alla propria passione per le colonne sonore, già esplorata in passato nei due volumi di “Deceleration”. Una pausa che ha rigenerato le energie dei Califone, contribuendo alla nascita del nuovo disco della band americana, registrato tra Chicago, Los Angeles, Phoenix e Long Beach nell’arco di sei mesi con la consueta collaborazione di Brian Deck, al fianco di Rutili sin dai tempi dei Red Red Meat.
Brani nati da melodie canticchiate al volante e catturate dal registratore di un cellulare, suggeriti da conversazioni ascoltate per caso, costruiti su disordinate raccolte di loop e field recording, innervati di palpiti e fruscii trovati tra le mura dello studio: “Ci siamo presi il nostro tempo per plasmare e manipolare un collage di suoni maggiormente sperimentale e tradurlo in solide melodie e in strutture di canzoni più concise”, racconta Rutili. E, a quanto pare, da “Roots And Crowns” è stato scartato abbastanza materiale per riempire almeno altri quattro dischi…

I tribalismi ritmici di Ben Massarella introducono il ribollente incipit di “Pink And Sour”, trafiggendo uno scheletro blues di schegge elettriche fulminee come pallottole vaganti. Ma subito il tono si distende inaspettatamente con “Spider’s House”, una delle composizioni più lievi ed ariose mai realizzate dai Califone, con il prezioso contributo di una sezione di fiati presa in prestito dagli amici Bitter Tears e con un pianoforte reso acuminato dall’uso di nastro adesivo e graffette applicate alle corde.



Tra le ombre scarne e vibranti delle chitarre acustiche che guidano i mosaici di brani come “Sunday Noises” e “Our Kitten Sees Ghosts”, a spiccare sono i clangori e le distorsioni della tagliente “A Chinese Actor”, accanto alle deviazioni ed ai cambi di ritmo di “Black Metal Valentine”, incalzante rassegna di drumming plastico e sibili sintetici. Invenzioni percussive e chitarre frastagliate, insieme al mormorio brumoso di Rutili, avvolto dall’accompagnamento di diafani cori, sono il tessuto connettivo di “Roots & Crowns”, che i Califone immergono in una costante nebulosa di indecifrabili interferenze.



La danza atavica di un violino folk accompagna il breve intermezzo strumentale di “Alice Crawley”, lasciando spazio alla voce d’oltretomba ed ai battimani zombie di “Rose Petal Ear”. Ma è con “3 Legged Animals”, nuova versione di un brano scritto originariamente da Rutili per il thriller-horror “The Lost”, che l’equilibrio formale raggiunto da “Roots & Crowns” arriva a conquistare davvero una compiutezza degna degli Wilco, tratteggiando un desiderio di rinascita che sembra scaturire dalle tracce di “A Ghost Is Born”: “Leave your memories, we’re almost new/ sleep for me sleepless/ dream for me dreamless”.
“Roots & Crowns” si pone così come il vertice di un itinerario sotterraneo nel cuore della musica americana. Nelle atmosfere notturne di “Heron King Blues” filtra un inatteso spiraglio di luce, nelle sfaccettate frammentazioni di “Quicksand/Cradlesnakes” si fa strada una nuova coesione: il tempo del coronamento, per i Califone, giunge come la fioritura di un albero il cui frutto si riconosce dalle radici.





Califone, 'Stitches'.
- 2013 -
Istanti. Frammenti. A volte la vita sembra fatta di brevi attimi che si susseguono uno dopo l’altro senza soluzione di continuità. Quello che conta è il filo che tiene legate le pagine, la trama capace di ricondurre ogni cosa ad unità: cuciture, rammendi, suture. “Stitches”, il titolo scelto da Tim Rutili per il ritorno dei Califone dopo quattro anni di pausa, si rifà proprio a questo: ai legami che tengono uniti i pezzi, ai punti che richiudono le ferite. A ciò che può infondere all’individualità di un pugno di canzoni l’appartenenza a una visione comune.

Ha un’anima multiforme, “Stitches”. “Abbiamo trattato ogni brano come un pianeta a sé stante”, afferma Rutili. “Volevo che questo fosse un disco più schizofrenico, capace di unire insieme trame ed emozioni confliggenti”. Da qui la scelta di allontanarsi da Chicago e di lasciare che le registrazioni si articolassero senza un baricentro unitario, tanto dal punto di vista geografico quanto da quello umano. California, Arizona, Texas. Nella cabina di regia, rispettivamente, Griffin Rodriguez, Michael Krassner e Craig Ross. “Coinvolgere persone differenti e registrare in luoghi differenti ha contribuito a conferire una certa tensione all’insieme”.
Scenari compositi per condividere la medesima voce: “Durante il processo di lavorazione del disco, ho cominciato a guardarmi allo specchio e a trovare una voce più chiara e autentica”, continua Rutili. “Mi sono concesso il massimo di vulnerabilità che potevo tollerare”. Rinunciare a nascondersi e uscire allo scoperto diventano così gli imperativi di uno dei lavori dai tratti più personali tra quelli realizzati da Rutili sotto l’egida Califone.

L’approdo segna un ulteriore avvicinamento del gruppo alle architetture più classiche della canzone: lo testimonia subito lo spoglio incipit acustico di “Movie Music Kills A Kiss”, con una linearità di sviluppo appena screziata dall’insinuarsi di punteggiature di tastiera. Gli accenti rock in chiave Wilco si fanno più marcati che mai sulla batteria carica di enfasi di “Frosted Tips”, mentre la title track si avviluppa vaporosa a un beat dal passo lieve.
Sono però gli orizzonti desertici di “moonbath.brainsalt.a.holy.fool” a tratteggiare nella maniera più emblematica i paesaggi di “Stitches”, evocando le visioni di frontiera di Howe Gelb sul suo srotolarsi polveroso, tra echi di armonica e di pedal steel. Per Rutili, è il riflesso palpabile dei luoghi in cui l’album è nato: “Quei panorami aridi, quelle spiagge, quelle colline e quei centri commerciali sono tutti diventati parte della musica del disco”.

Il vento porta con sé storie che vengono da lontano, intessute di suggestioni bibliche. L’andamento pianistico di “Magdalene” si accompagna di fiati e cori come una sorta di country-gospel agnostico, il cammino verso la terra promessa si dipana attraverso gli archi cinematografici di “Moses”. Individui unici e archetipi universali, i cui volti si sfaldano tra i suoni liquidi della conclusiva “Turtle Eggs / An Optimist”.
Tutto trova la sua sintesi nel video ideato da Braden King per “Stitches”, basato su una sequenza casuale di immagini tratte da una selezione di pagine Tumblr. Un video ogni volta diverso, come una finestra aperta sull’anima del mondo: “È il modo in cui esprimiamo e condividiamo le nostre storie”, riflette Rutili. “Speriamo che gli altri possano rapportarsi con quello che facciamo e forse trovare conforto e ispirazione. La magia di prendere queste strane, oscure e meravigliose immagini dall’etere (o dalla coscienza collettiva) per creare il video riflette perfettamente quest’idea”.


Eppure, nel suo procedere dal multiforme all’uno, “Stitches” sembra fermarsi a un punto incompiuto: il progressivo accostarsi dei Califone a fisionomie più consolidate trasfonde solo in parte la personalità del gruppo. Al di là degli intenti, resta quasi un pudore di Rutili a rivelarsi fino in fondo troppo apertamente, che lascia le canzoni di “Stitches” sospese tra concretezza e astrazione. La trama dei Califone a venire è un filo ancora da intrecciare.

Fonte ondarock.it

Piers Faccini.

Pier Faccini.
Londra, 1992.



Piers Faccini (Piers Damian G. Faccini) (Luton, 1972) è un musicista britannico.
Nato nel 1972 da padre italiano e da madre inglese, si trasferisce in Francia all'età di cinque anni.
Dopo aver frequentato l'Eton College, inizia ad esibirsi pubblicamente in campo musicale in Inghilterra.
Piers Faccini fa parte dei dieci artisti selezionati dalla giuria del Prix Constantin nel 2009 per il suo album Two Grains of Sand.


Fonte wikipedia





Album
Piers Faccini, 'Between dogs and wolves'.
- 2013 -

Al quinto capitolo discografico, l’artista anglo-italiano di stanza in Francia sembra non avere più quell’urgenza che ha caratterizzato il suo percorso artistico. Accantonate le pulsioni jazz e blues dei primi due album e le curiosità etniche di “My Wilderness”, Piers Faccini si regala una pausa da cantautore puro, omaggiando la tradizione di Leonard Cohen, Bob Dylan e Bonnie "Prince" Billy in un album dai toni crepuscolari e raffinati. Chitarra e piano reggono le fila di un suono sempre più delicato e intimista, poche tracce di violoncello e l’assenza di percussioni caratterizzano il disco come il più personale e sentito dell’artista.
Between Dogs And Wolves” è una pausa di riflessione e introspezione, un progetto che mette in evidenza luci e ombre di un artista ormai consacrato allo status di cult: l’edizione limitata oltre a offrire un raffinato libricino dei testi aggiunge anche un album di cover version, confermando la volontà di Faccini di esternare tutta la sua poetica. 

Il suo approccio multiculturale resta apparentemente in sordina in questo album dai toni più delicati; la classe e la padronanza della voce sempre calda e avvolgente trascinano infatti l’ascoltatore in un’altra vivida carrellata di emozioni semplici e confortevoli. Nella tradizione del miglior cantautorato folk, Piers Faccini concentra l’attenzione sulla composizione, donando al suo pubblico alcune delle sue pagine migliori: “Black Rose” e “Broken Mirror” aprono il disco con un’intensità lirica che sembra rubata al Nick Drake di “Five Leaves Left” o a John Renbourn.


E' infatti un susseguirsi di canzoni tanto gentili quanto vibranti e intense: l’artista sfida le regole dell’industria musicale attuale regalandoci un album difficile da spezzettare in piccoli clip da adattare alle esigenze del web, per una fase introspettiva malinconica e introversa che dà forma a brani come “Girl In The Corner” e “Feather Light”, che sfidano la fruizione tocca e fuggi di YouTube.

Non è un caso che Piers Faccini abbia pubblicato in vinile le sue ultime opere discografiche: la sua è una musica che chiede attenzione anche quando i toni si fanno più romantici, come in “Wide Shut Eyes”, o più elaborati come nella jazzy “Pieces Of Ourselves”. Il suono cristallino di “Missing Words” e la fragilità di “Reste La Marée” sono pagine preziose, che, pur incastonate tra gioiellini di purezza lirica, come appunto la già citata “Black Rose” e “Like Water Like Stone” (che aprono e chiudono l’album), hanno la forza per trascinare questo lavoro nel miglior cantautorato contemporaneo.


Non nego che spesso durante l’ascolto ho avuto dei piccoli flash che mi rimandavano al nostro Fabrizio De André. La presenza di una canzone cantata in italiano ha rafforzato questa sensazione: “Il Cammino” è non solo un sentito omaggio all’Italia ma anche una delle pagine più fragili e liriche del disco.
Con “Between Dogs And Wolves” Faccini entra comunque prepotentemente nella ristretta cerchia dei poeti del nuovo folk, e lo fa rinunciando a quelle nuance che smorzavano l’essenzialità del suo scripting, catturando quell’integrità lirica che il cantautore anglo-italiano aveva finora inseguito senza mai raggiungerla del tutto.

Fonte ondarock.it