mercoledì 11 settembre 2013

'Made in Japan', Deep Purple.

L'album della settimana: 
dal Dizionario del Pop-Rock di Gentile e Tonti


Capisaldi dell’Hard Rock mondiale in uno degli album-manifesto dell’Hard Rock e loro capolavoro assoluto fatto di lunghe cavalcate live di rovente Hard Blues…

Per questo weekend cos’altro vi serve?!



Deep Purple, 'Made In Japan'
(1972)

06/09/2013

Nati nella seconda metà degli anni 60 per volontà del chitarrista Ritchie Blackmore (1945) e del tastierista Jon Lord (1941-2012) con l’intento di fondere Beat e musica classica, i Deep Purple cambiano più volte formula e formazione, ottenendo il vero successo tra il 70 e il ’76, quando si affermano come capisaldi dell’Hard Rock mondiale. La reunion del Mark II (che dura dieci anni) ne rinnova la fama, ma i continui litigi tra Blackmore e il cantante Ian Gillan (1945) proseguono fino ai primi anni 90, quando il chitarrista abbandona per sempre la sua creatura. Ma oramai Deep Purple è un marchio che sopravvive e prospera, con una straordinaria densità di tour e produzioni discografiche, indipendentemente dai musicisti che vi suonano. Innumerevoli i capitoli su CD e DVD che documentano la loro inesausta avventura professionale.

Made In Japan
Purple, 1972 – 2 LP live – ★★★★★
Il loro capolavoro assoluto e uno degli album-manifesto dell’Hard Rock. È la testimonianza di una serie di vibranti concerti giapponesi in cui tutti i brani più vitali e meritevoli diventano lunghe cavalcate di rovente Hard Blues. La dimensione live è quella ideale per un gruppo che fa della potenza e dell’aggressività la sua arma migliore: la conclusiva Space Truckin’ occupa tutta una facciata, ma sono le performance di Smoke On The Water, Child In Time e Highway Star quelle destinate a surclassare le omologhe versioni in studio e a testimoniare le vette espressive raggiunte specialmente da Gillan e Blackmore. Del 1998 la rimasterizzazione in un doppio CD con 22 minuti di musica in più (tra cui una stravolta rilettura di Lucille).

Canzone: Highway Star

"Nobody gonna take my head
I got speed inside my brain
Nobody gonna steal my head
Now that I’m on the road again
Oooh I’m in heaven again I’ve got everything
Like a moving ground an open road
And everything"


Fonte: dizionari.zanichellipro.it

Chi sono i Deep Purple?






Hard-rock al rumor bianco
di Fabio Federicis

Gli inglesi Deep Purple sono stati una delle band di maggior successo dell'hard-rock. Grazie anche a una serie di concerti incendiari. Una carriera culminata nel riff epico di "Smoke on the water" e chiusa con una serie di malinconiche reunion






I Deep Purple sono uno dei gruppi fondamentali dell'hard rock, inferiori forse ai soli Led Zeppelin, rispetto ai quali probabilmente non hanno avuto uguale propensione alla sperimentazione e alla ricerca sonora. Con ciò non si creda che i Deep Purple siano stati del tutto privi di originalità; la loro miscela di fragore e melodie raffinate, abbinata a una eleganza esecutiva indubbia costituisce una novità nell'ambito del rock più ruvido. La loro musica migliore appare come estremamente semplice e fruibile, ma non banale: tuttavia una parte della critica tende a sminuirne il valore, liquidando il gruppo come fautore di dischi troppo corrivi e ordinari. In realtà, nel periodo d'oro del gruppo è evidente la volontà di aprirsi a un ventaglio di sonorità e stili molto ampia; tale qualità costituisce un valore aggiunto che distingue i Deep Purple dalle molte band che in seguito riproporranno aridamente e senza lo stesso gusto alcune loro brillanti soluzioni, contribuendo a banalizzare e impoverire la "scena" hard rock. Queste specificità sono spesso rivendicate dai componenti del gruppo, tanto che Ian Gillan in un'intervista relativamente recente dirà: 

"Ciò che più mi dispiace è vedere oggi il nostro nome associato esclusivamente all'ambiente metal; noi in realtà ci muovevamo in un campo senza confini precisi, la nostra musica andava dai Black Sabbath a Marc Bolan, e nel mezzo ci mettevamo di tutto." 

La band si forma attorno all'organista Jon Lord ed al chitarrista Ritchie Blackmore; entrambi vengono da una formazione musicale di stampo classico e sono affascinati dal neonato pop sinfonico di Moody Blues e Vanilla Fudge, ma ancor più forte è l'attrazione per il rhythm & blues americano, condivisa con gli altri componenti: Ian Paice alla batteria, Rod Evans alla voce e Nick Simper al basso. Così i primi e acerbi dischi Shades of Deep Purple e The Book of Taliesyn cercano di conciliare queste influenze, con risultati poco più che modesti; si tratta di compilazioni di brani originali inframmezzati da alcune cover che integrano un repertorio ancora piuttosto povero.



Non mancano alcune citazioni classiche (in "And the address" o "River deep, mountain high"), piuttosto forzate e comunque poco convincenti. Tuttavia i Deep Purple assaporano il primo successo commerciale grazie alla cover del brano "Hush" (di Joe South), che li pone all'attenzione del grande pubblico. Cominciano così le prime lunghe tournèe, utilissime per trovare quel suono che la band insegue e che si baserà sull'Hammond potente del baffuto Lord e sul chitarrismo raffinato e al contempo energico di Blackmore


Il successivo disco omonimo (1969) rappresenta un netto miglioramento: brani convincenti, ben costruiti e suonati con una carica nuova. Nell'ottima "Why Didn't Roselary" compare il primo grande assolo di Blackmore, mentre Lord soddisfa la sua voglia di classicità nella barocca "Blind" e sopratutto in "April", lungo brano suonato alternativamente dal gruppo e da un orchestra sinfonica (arrangiata dallo stesso tastierista).



Il tour che segue la pubblicazione di "Deep Purple" è un successo di pubblico, ma Lord e Blackmore intuiscono che per migliorare ancora bisogna ritoccare la formazione: vengono estromessi così Simper ed Evans, ed entrano rispettivamente Roger Glover e Ian Gillan. La scelta si rivela azzeccata fin dalle prime esibizione della nuova line-up, che poi resterà nota come Mark II: Glover è un bassista dallo stile sobrio, in grado di assorbire con solidità le lunghe fughe solistiche che i due leader amano proporre dal vivo, mentre Gillan è un interprete di gran talento nonché un valido frontman. Così assestata, band diventa una vera e propria "macchina da concerti", testimoniata da roventi bootleg ancora oggi di facile reperibilità. Vengono composti anche parecchi brani nuovi: il singolo "Black night" ne è un esempio; si tratta di un aggressivo hard-blues, molto accattivante, e che diventa ben presto conosciutissimo.


Ma quando la band sembra lanciata ai vertici del rock duro, a sorpresa Jon Lord si getta su un suo progetto ambizioso quanto coraggioso: un concerto sinfonico per gruppo e orchestra, che si tiene nel settembre del '69 alla Royal Albert Hall di Londra. Lord si occupa della scrittura e dell'arrangiamento dell'orchestra (per l'occasione viene scomodata la Royal Philharmonic Orchestra), mentre al gruppo è lasciato poco spazio. Complessivamente il concerto è godibile e regala momenti avvincenti, anche se probabilmente alcuni arrangiamenti risultano un pò troppo ampollosi.


Messa da parte l'esperienza sinfonica, nel 1970 viene pubblicato il celeberrimo Deep Purple in rock; probabilmente il loro capolavoro, è un disco di grande energia e ricco di splendide canzoni. Il suono è volutamente grezzo e ruvido, ma il tutto è curato con notevole gusto. Il tour che segue consacra i Deep Purple a vertici della scena rock britannica. 


Ma il gruppo non si adagia sul successo ottenuto, e quando nel '71 viene pubblicato Fireball, si notano subito dei tentativi di cambiamento; la ferocia del disco precedente lascia spazio alla ricerca di un suono leggermente ripulito; così accanto ai consueti brani durissimi (la title-track o "No one came"), compaiono alcuni pezzi dalle intenzioni vagamente psichedeliche ("Mule" e "Fools", con un organo à la Manzarek), nonché le divagazioni simil-contry in "Anyone's daughter". 




Il tentativo di raffinamento riesce ancor meglio con Machine Head (1972): "Maybe I'm a leo" e "Lazy" riprendono con grazia i canoni del blues e mostrano un Blackmore a suo agio sia quando deve graffiare, sia quando deve ricamare assoli delicati; anche Gillan, qui alla sua miglior prova, si muove con agilità e sicurezza fra vocalizzi arditi. 


Non mancano anche qui gli episodi più tirati ("Highway star" e la funambolica "Pictures of home"), e il momento fortunato è confermato dall'incredibile quanto inatteso successo commerciale di "Smoke on the water" (il brano era inserito nella seconda facciata, quasi come un mero riempitivo). Si parte per una nuova tournée mondiale, che tocca anche il lontano Giappone: dalle tre date in terra d'Oriente viene tratto il celebrato Made In Japan, doppio album dal vivo che riprende il gruppo in un autentico stato di grazia, diventando in fretta uno dei dischi più popolari del rock. 


Il successo travolge il gruppo e fa lievitare le pressioni e le tensioni al suo interno: in questo clima nasce Who Do We Think We Are? (1973), disco solitamente considerato minore, ma comunque molto buono e che rappresenta un ulteriore sviluppo nella ricetta musicale dei Deep Purple ("Woman from Tokio" e "Smooth dancer" i brani più noti). A ogni modo, poco dopo la fine delle registrazioni, Gillan e Glover lasciano il gruppo per lanciarsi nelle rispettive carriere soliste: specie Gillan riuscirà ad ottenere un discreto successo, pur cimentandosi in territori lontani dal rock in stile Purple (ad esempio in "Scarabus").


Blackmore e Lord non perdono tempo e sostituiscono i due defezionari con un sol colpo, chiamando nel gruppo il giovane cantante e bassista Glenn Hughes, che aveva già maturato una discreta esperienza nei Trapeze. In tal modo la formazione sarebbe di per sé già completa, ma l'entourage che circonda la band preme perché venga mantenuta la formula a 5 elementi: così entra un secondo cantante, David Coverdale

Agli inizi del '74 esce Burn; l'intenzione è quella di tornare sulle orme di In Rock, con un suono più grezzo e un piglio più istintivo nell'esecuzione. Effettivamente "Burn" è un buon disco, con belle canzoni arricchite da un intelligente utilizzo delle due voci (potente e calda quella di Coverdale, più fresca e acuta quella di Hughes). 


Tuttavia qui s'interrompe la stagione di evoluzione della formula musicale dei Deep Purple, che d'ora in poi si limiteranno a ripetere all'infinito percorsi già tracciati negli anni precedenti (fa eccezione l'isolato esperimento del duetto chitarra-sinth nello strumentale "A 200"), Probabilmente Lord e Blackmore se ne accorgono, e nell'immediatamente successivo Stormbringer tentano un improvviso cambio di rotta verso sonorità funky ("You can't do it right" e "Hold on") e si cimentano in alcune ballate ("Soldier of fortune" o "Holy man"); ma si avverte una certa stanchezza compositiva, tanto che i brani più tipicamente hard-rock sono i più deludenti.





Ritchie Blackmore, insoddisfatto dai risultati di Stormbringer, abbandona il gruppo per formare i Rainbow; il gruppo sarà una sua diretta emanazione, con cui potrà ridare sfogo alla sua passione per le sonorità magniloquenti in una manciata di dischi di buon livello (dall'album d'esordio fino a "Long live rock'n'roll"). I Deep Purple perdono così il loro leader principale, e molti pensano che senza lo stile inconfondibile del chitarrista, il gruppo sia destinato all'epilogo. Invece nel '75 viene rilasciato il buon Come Taste The Band, con alla chitarra il semi-sconosciuto Tommy Bolin; nonostante il cambio di formazione, il risultato non cambia in modo significativo: ormai i Deep Purple non riescono a essere che una copia di loro stessi. 


Ma la crisi è ormai irreversibile, e dopo il consueto tour, la band annuncia lo scioglimento. Intanto viene pubblicato un altro disco dal vivo, Made In Europe, con registrazioni dei concerti del '74 e contenente esecuzioni di alcuni fra i brani più recenti; il riferimento nel titolo al precedente disco dal vivo è piuttosto infelice, e comunque il confronto fra le due incisioni non è proponibile. Per di più Made In Europe è penalizzato da un missaggio pessimo, che sembra quasi preoccuparsi di offuscare la chitarra del fuggitivo Blackmore. 

Negli anni seguenti verrà pubblicata una numerosa schiera di dischi antologici e di altri ancora registrati dal vivo, alcuni dall'utilità piuttosto dubbia. 
Intanto David Coverdale fonda i Whitesnake, autori di un discreto hard-rock con forti influenze blues; per giunta nei primissimi anni 80 confluiranno nel gruppo anche Lord e Paice. Nel frattempo i Rainbow del tenebroso Blackmore hanno perso il loro slancio iniziale e si trascinano con dischi mediocri, rincorrendo il fortunato filone A.O.R.. Cominciano a farsi pressanti le voci di una reunion della cosiddetta "Mark II" (quella del periodo 1970-'73, per intenderci), ma nel '83 Gillan spiazza tutti accettando il ruolo di cantante nei Black Sabbath; tuttavia questa esperienza trova lo spazio di un disco (l'apprezzabile Born Again) e di un breve tour. Così nel 1984 i tempi sono maturi per la riunione ufficiale. Esce Perfect Strangers, un grande disco di rock legato certamente allo stile classico del gruppo, ma non nostalgico. Il suono è sufficientemente fresco e i brani molto efficaci e ben prodotti ("Knocking on your back door", la title-track e la ballata elettrica "Wasting sunsets" sono i brani migliori). Le cose nel gruppo sembrano tornate a girare nel modo giusto, e la lunga tournée che segue è entusiasmante.





Il successivo The House Of Blue Light (1987) si sposta su atmosfere più compassate e mature, ma nel complesso convince meno dell'esplosivo predecessore. 


Nell'anno seguente Nobody's Perfect testimonia il ritorno dal vivo del gruppo. Ma presto Gillan e Blackmore ricominciano a litigare, e il cantante abbandona nuovamente; al suo posto viene chiamato l'ex Rainbow (il che fa capire quale sia ora il "peso" del chitarrista nel gruppo) Joe Lynn Turner. 


Così nel '90 vede la luce Slaves And Masters, un disco decisamente mediocre e privo di mordente, che ci consegna un gruppo a disagio con le sonorità più moderne e in chiaro declino creativo. 


Un po' per la delusione , un po' per il cadere della ricorrenza del 25° anniversario del gruppo, si riesce a riportare "a casa" Gillan; The Battle Rages On (1993) sancisce così l'ennesima ritorno alla "Mark II", con un disco energico ma poco ispirato. 


Le liti interne sono ormai la norma, e dopo un altro pressoché inutile disco dal vivo (Come Hell Or High Water) c'è di nuovo un abbandono: ma stavolta a lasciare è Blackmore, che da lì a poco intraprenderà il nuovo discusso progetto denominato Blackmore's Night.



Il sostituto del tenebroso chitarrista è Steve Morse, esperto e preparatissimo musicista americano (ex Dixie Dregs e Kansas), col quale vengono pubblicati nel '96 Purpendicular e due anni più tardi Abandon, godibili ma irrimediabilmente nostalgici.


La sensazione è che questi nuovi dischi siano poco più di un pretesto per tornare in tour, dove i Deep Purple raccolgono ancora folle entusiaste. La fissazione per gli anniversari colpisce di nuovo i nostri, che riprendono il Concerto For Group And Orchestra nella ricorrenza del suo trentennale; per l'occasione vengono suonati con l'ausilio dell'orchestra anche alcuni brani presi dalle carriere solistiche dei singoli componenti, e vi partecipano alcuni vecchi compagni di avventura (Sam Brown e Ronnie James Dio)

Nel 2003 i Deep Purple tornano con il nuovo Bananas, che si ricollega alle ultime produzioni, segnalandosi soprattutto per l'assenza del vecchio leader Jon Lord, qui sostituito da Don Airey. 


Si trascina così stancamente la carriera di un gruppo fondamentale dell'hard-rock, ancora insuperato dall'infinita schiera di eredi più o meno legittimi che hanno tentato di ripercorrerne le orme. 

Nel 2005, Rapture Of The Deep tenta di invertire la tendenza, finendo per sorprendere per freschezza e piglio creativo. 


E' vero che nel ritmato orecchiabile "Girls Like That" si ripresenta quella specie di refrain anni 80 di cui Bananas era pieno, ma questo disco ha una marcia in più che va cercata e apprezzata pur limitatamente al contesto dell'album stesso. L'intro di "Money Talks", infatti, sembra riportarci indietro nel tempo insieme ai ghirigori sparsi qui e lì dell'hammond del talentuoso Don Airey, che, sorprendentemente, sembra non far rimpiangere l'ultimo John Lord. 
"Wrong Man" è un brano tipicamente à-la Purple, con riff e organo a dialogare tra loro con potenza e destrezza, accompagnati da un Gillan particolarmente ispirato che torna a provare gli acuti. E' strano, poi, come lo spirito di Blackmore ancora aleggi su questo gruppo. La title track ricorda molto le scale orientaleggianti usate dal chitarrista nei Rainbow, creando un sound progressive decisamente accattivante. 
I Purple sanno rallentare e "Clearly Quite Absurd" è una ballata atipica degna di un Eric Clapton più grezzo. Poi il blues cadenzato di "Don't Let Go" e il sintetizzatore di "Back To Back" spezzano leggermente la tensione del disco. 




Ian Paice ricorda di essere un grande batterista e il suo tribale à-la Bo Diddley apre "Kiss Tomorrow Goodbye" che ricorda molto la produzione dei tempi di "Fireball".


Dopo il rock modesto di "Junkyard Blues", spetta a Gillan il compito di chiudere questo album. "Before Time Began" è una specie di suite in crescendo con una prestazione molto carica e passionale del cantante che, per un attimo, riesce quasi a fermare il tempo ormai passato.



A otto anni di distanza dall’ultimo parto discografico, ma soprattutto a diciasette dall’ultimo realmente ascoltato da qualcuno (Purpendicular, l’ennesimo nuovo start, e non era niente male), i Deep Purple tornano a registrare un disco, Now What?! (2013), con l'aiuto in regia da parte di Bob Ezrin, proprio lui, l’ingegnere dietro i successoni di Alice Cooper, Kiss, proprio lui, il signore a cui Roger Waters chiese più di un consiglio nel tentativo, poi riuscito innumerevoli volte, di scavalcare il muro più ostico di tutti i tempi. Seconda mossa: cerchiamo di fare una cosa dignitosa cosicché la dovuta dedica al compianto John Lord non appaia come una battuta di cattivo gusto.

Ecco allora serviti 11 brani, più una bonus track per i più affezionati spendaccioni, con i quali rileggere uno stile che fece proseliti ovunque, tra blues, memorie sinfoniche, ammiccamenti pop. E, con un po’ di pazienza, anche stavolta qualche cartolina potrebbe essere conservata: il singolo “Hell To Pay” è una discreta canzonaccia dotata di un certo vigore, con Gillan che riesce a non cadere nella caricatura, Paice e Glover che macinano, Steve Morse che, come al solito, non ha eguali nell’utilizzo dei cromatismi in chiave ritmica, 


Don Airey che offre la migliore imitazione di Lord; “Body Line” che approccia la materia Purple in chiave fusion, alla Toto modello “Rosanna”, con l’incipit di Paice travestito da Jeff Porcaro, un ritornello dal sapore Aor, tutto molto agile e fresco, nonostante i modelli di riferimento; “Above And Beyond”, dall’andatura compassata, quasi recitata, salvo le classiche impennate, con le tastiere gustosamente seventies, approdo facile ma anche piacevole; “Uncommon Man”, l’omaggio atteso al baffo che non c’è più, sette minuti di orchestrazioni prog che a metà dell’opera si rifanno al vecchio spartito di “Fanfare For The Common Man”, senza però mai apparire grossolani; anche questo può essere visto come un traguardo superato, come pure quello di aver scongiurato, per l’ennesima volta, il più volte annunciato tour nei migliori ospizi del globo.



Contributi di Mauro Vecchio ("Rapture Of The Deep"), Davide Sechi ("Now What?!)

Fonte ondarock.it

Curiosità.

Il nome 'Deep Purple'.

Hanno venduto più di 100 milioni di copie nel mondo e sono stati presenti sul Guinness dei primati come la band più rumorosa del mondo. A differenza di molti gruppi coetanei, nati dall'incontro dei musicisti, sono nati principalmente per la volontà di due manager: John Coletta e Tony Edwards. Nel maggio del 1965 nasce una formazione con il nome di "Episode Six" che comprendeva Ian Gillan alla voce, Graham Dimmock e Tony Lander alla chitarra, Roger Glover al basso, Sheila Dimmock alle tastiere e Harvey Shields alla batteria. 


Due anni più tardi, nacque un'altra band, centrata su un trio di cantanti, i The Flowerpot Men and their Garden (inizialmente nota col nome "The Ivy League"). Il nome era tratto dallo spettacolo per bambini The Flowerpot Men, ma si dice che esso sia un ovvio riferimento ai concetti del flower power e della cannabis (pot in inglese). La canzone di maggior successo del gruppo fu Let's Go To San Francisco (alcuni sostengono che si trattasse di una parodia del brano If You're Going to San Francisco di Scott McKenzie, ma il gruppo negò sempre la validità di questa voce).


I membri del gruppo erano Tony Burrows, Neil Landon, Robin Shaw e Pete Nelson alla voce, Ged Stone alla chitarra, Nick Simper al basso, Jon Lord all'organo e Carol Little alla batteria. Nel Febbraio del 1968 dopo un incontro avvenuto tra Lord e Ritchie Blackmore, prese forma il progetto per un nuovo gruppo, i Roundabout, che comprendeva Blackmore alla chitarra, Lord all'organo Hammond, Chris Curtis alla voce, Bobby Woodman alla batteria e Nick Simper al basso. Nel Marzo del 1968 Blackmore, Lord e Simper lasciarono da parte l'idea di chiamare il gruppo Roundabout, ma lo mantennero momentaneamente perché, se la band non avesse avuto successo, avrebbero potuto ricominciare da capo con un nuovo nome e dei Roundabout non si sarebbe ricordato mai nessuno. Quindi "Roundabout" fu una mossa puramente strategica. Così si formò una nuova band con il cantante Rod Evans e il batterista Ian Paice. Dovendo scegliere il nome della band, decisero per un nome composto da due parole (come andava di moda all'epoca): Blackmore propose "Deep Purple" pensando all'omonima canzone di Nino Tempo e April Stevens, brano preferito di sua nonna. 


Fonte: deeppurple-italiansite.it

Album in studio.

1967 - Shades of Deep Purple
1968 - The Book of Taliesyn
1969 - Deep Purple
1970 - Deep Purple in Rock
1971 - Fireball
1972 - Machine Head
1973 - Who Do We Think We Are
1974 - Burn
1974 - Stormbringer
1975 - Come Taste the Band
1984 - Perfect Strangers
1987 - The House of Blue Light
1990 - Slaves and Masters
1993 - The Battle Rages On...
1996 - Purpendicular
1998 - Abandon
2003 - Bananas
2005 - Rapture of the Deep
2013 - Now What?!

Formazione dei Deep Purple.

Mark I: 1968-1969
Rod Evans - voce
Ritchie Blackmore - chitarra
Nick Simper - basso
Ian Paice - batteria
Jon Lord - tastiere

Mark II: 1969-1973, 1984-1989, 1992-1993
Ian Gillan - voce
Ritchie Blackmore - chitarra
Roger Glover - basso
Ian Paice - batteria
Jon Lord - tastiere

Mark III: 1973-1975
David Coverdale - voce
Ritchie Blackmore - chitarra
Glenn Hughes - basso e voce
Ian Paice - batteria
Jon Lord - tastiere

Mark IV: 1975-1976
David Coverdale - voce
Tommy Bolin - chitarra
Glenn Hughes - basso e voce
Ian Paice - batteria
Jon Lord - tastiere

Mark V: 1989-1991
Joe Lynn Turner - voce
Ritchie Blackmore - chitarra
Roger Glover - basso
Ian Paice - batteria
Jon Lord - tastiere

Mark VI: 1993-1994
Ian Gillan - voce
Joe Satriani - chitarra
Roger Glover - basso
Ian Paice - batteria
Jon Lord - tastiere

Mark VII: 1994-2002
Ian Gillan - voce
Steve Morse - chitarra
Roger Glover - basso
Ian Paice - batteria
Jon Lord - tastiere

Mark VIII: 2002-Oggi
Ian Gillan - voce
Steve Morse - chitarra
Roger Glover - basso
Ian Paice - batteria
Don Airey - tastiere

Made in Japan

Made in Japan è un album live dei Deep Purple. Viene considerato una pietra miliare del rock e anche il miglior live di sempre e della storia del rock. Venne registrato e pubblicato nel 1972.


Il Disco.

Il disco fu registrato durante una tournée in Giappone nell'estate del 1972 e fu pubblicato originariamente come doppio LP. Made in Japan è poi stato ristampato come CD singolo e in seguito, nell'edizione rimasterizzata del 1998, è stato aggiunto un CD con 3 nuove tracce tratte dagli stessi concerti.
Il disco è uno dei lavori più famosi della band inglese. Contiene alcune celebri versioni di pezzi che sono divenuti classici del rock come Smoke on the Water, Child in Time e Strange Kind of Woman. I brani sono tratti dagli album di quel periodo, in particolare Fireball, In Rock e Machine Head realizzati dalla formazione dei Deep Purple considerata più classica, la cosiddetta Mark II con Ian Gillan e Roger Glover.
Alcuni brani, come la celebre Smoke on the Water, sono più conosciuti nella versione contenuta in questo disco piuttosto che nella loro versione originale in studio.
Made in Japan è stato uno dei primi album rock registrati dal vivo ad ottenere un successo commerciale importante e ad entrare nelle classifiche di vendita. In particolare il disco, oltretutto doppio, raggiunse la prima posizione in Austria, Germania e Canada, la terza in Australia, la quarta in Olanda, la 6ª posizione delle chart statunitensi Billboard 200 e la settima in Norvegia.
Quando Made in Japan uscì nel dicembre del 1972, il livello tecnico delle registrazioni dal vivo e della post-produzione non era ai livelli che sarebbero stati raggiunti negli anni successivi. Dischi di gruppi all'epoca famosi avevano subito aspre critiche perché troppo evidenti erano le manomissioni posticce realizzate in studio e al mixer. Celebre fu il caso di Live at Leeds degli Who uscito nel 1970: pur considerato uno dei migliori dischi live mai pubblicati, fu evidente che il sound generale non rispecchiava completamente quello del gruppo nei concerti; i tecnici, in post-produzione, avevano probabilmente calcato troppo la mano. In una intervista degli anni ottanta, il bassista dei Deep Purple Roger Glover definì Made in Japan «il disco più onesto della storia del rock», perché testimoniava senza trucchi, sovraincisioni, manomissioni in studio, ciò che realmente era la musica dei Deep Purple in concerto, con la loro carica, l'energia che esprimevano, la bravura dei musicisti, ma anche i difetti e le imperfezioni.
Con Made in Japan i Deep Purple sfondarono anche negli Stati Uniti, vendendo milioni di copie, e gettarono le basi per i fasti dell'heavy metal del decennio successivo.


Tipo album Live
Pubblicazione dicembre 1972
Durata 98 minuti e 02 secondi
Dischi 2
Tracce 7 + 3
Genere Rock
Etichetta EMI
Produttore Deep Purple
Registrazione Tokyo e Osaka, dal 15 al 17 agosto 1972
Certificazioni Dischi d'oro 3; Dischi di platino 25

Tracce.

CD 1
Highway Star - 6:42
Child in Time - 12:18
The Mule (drum solo) - 9:28
Lazy - 10:27

CD 2 - The Encores
Speed King - 7:25
Lucille - 8:03

Tutti i brani sono di Blackmore/Gillan/Glover/Lord/Paice salvo Lucille di Collins/Penniman.
Le tracce 1, 2, 5 e 7 del CD n°1 e la traccia 3 del CD n°2 sono state registrate a Osaka il 16 agosto 1972; la traccia 3 del CD n°1 è stata registrata a Osaka il 15 agosto 1972; le altre tracce sono state registrate a Tokyo il 17 agosto 1972.

Formazione
Ritchie Blackmore - chitarra elettrica
Ian Gillan - voce
Roger Glover - basso elettrico
Jon Lord - organo, tastiere
Ian Paice - batteria

Fonte Wikipedia.

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