martedì 1 ottobre 2013

Swans.

Liturgie dell'apocalisse
di Claudio Fabretti


Partiti da un hardcore al rumor bianco, gli Swans sono approdati a una singolare fusione tra battito "industrial" e atmosfere gotiche. Raccontando storie di violenza urbana e alienazione, morte e redenzione.



Estremi, violenti, inquietanti, gli Swans sono una delle leggende dell'alternative rock. Partiti da un rock dissonante al rumor bianco, sono approdati negli anni a una forma di ambientazione gotica e spettrale, fondata su esplosioni di chitarre e melodie ammalianti, percussioni "industriali" e atmosfere rarefatte, oltre che sul contrasto tra la voce da zombie del chitarrista Michael Gira (sorta di Bowie dell'oltretomba) e quella da sirena della cantante Jane Jarboe. Le loro storie sono ritratti crudi e desolati, manifesti musicali sulla violenza metropolitana delle grandi città statunitensi, sul degrado, sull'alienazione. Visioni allucinanti di una vita vissuta all'estremo, proprio come quella di Michael Gira: cresciuto a Los Angeles quasi senza famiglia, fu detenuto a lungo in istituti di correzione per atti di vandalismo, furti e aggressioni. Drogato fin da bambino, a dodici anni era già completamente dipendente dall'Lsd. A tredici anni scappò di casa e si stabilì a Los Angeles, dove cominciò a suonare. Un'infanzia segnata, che resterà la chiave psicologica della sua opera. 


'Filth', Swans. - 1983 -
Gli Swans nascono a New York nei primi anni '80, dalle ceneri dei Circus Mort, su iniziativa di Gira (autore anche di un Ep omonimo, sorta di combinazione "industrial" con il nascente dark europeo) e di Johnatan Kane. Il disco d'esordio, Filth (1983), vede anche la partecipazione di Roli Mosimann, Norman Westberg e Harry Crosby. E' un'agghiacciante rappresentazione della violenza di una megalopoli come New York. Accordi laceranti si combinano con dissonanze e cacofonie industriali in un caos sonoro che non lascia scampo. Un'ambientazione resa ancor più angosciante da brani quali "Stay Here", che fonde le allucinazioni dei Chrome e le orge chitarristiche dei Sonic Youth, "Blackout", sostenuto da una batteria ossessiva, "Power For Power", voodoobilly al ralenty, fino al crollo finale di "Gang", dove una cantilena sgangherata sembra quasi mimare l'ultimo spasimo di un moribondo.




'Cop', Swans. - 1984 -
Il sound brutale degli Swans ottiene i primi consensi nel giro "alternative" e viene ribattezzato "boom music" per una sua caratteristica peculiare: quel ripetere assordanti "bum" strumentali sui vocalizzi del leader. Come nel caso dei Pere Ubu, la loro "danza moderna" non è che l'epitaffio della società industriale, ridotta a brandelli e incapace di offrire scampo a un'umanità alla deriva. Già in occasione del secondo album Cop (1984), Gira rimane l'unico membro originario della band, che non muta il suo canovaccio sonoro: clangori industriali si fondono con un ritmo macabro, con le sciabolate delle chitarre e la voce da zombie del cantante. Il calvario di Gira si snoda attraverso pannelli surreali come "Half Life", "Clay Man", "Your Property" o "Job", che affondano in voragini di desolazione, raccontando di un'umanità meccanizzata e agonizzante. 




Swans, 'Greed'. - 1986 -
Il 1985 è un anno-chiave. Dopo l'Ep Crawled (in cui spicca la lisergica "I Crawled", che riecheggia "The End" dei Doors), è la volta di Greed, album fondamentale per storia degli Swans, perché segna l'ingresso nella band di Jane Jarboe, compagna fin da allora di Gira, che suona al piano e lo accompagna al canto. Una presenza femminile che servirà a redimere lo spirito dannato di Gira, rendendo le sonorità del gruppo meno dure anche se sempre tragicamente gotiche. Con questa formula, gli Swans si trasformano in una band più matura. Il loro nuovo sound è sospeso fra furore noise e malinconia folk, creato bilanciando pieni (le esplosioni di chitarra, le percussioni industriali) e vuoti (le melodie ammalianti, le atmosfere rarefatte), e alternando la voce cavernosa di Gira e quella suadente di Jarboe (discepola della scuola di Lydia Lunch, Diamanda Galás, Exene Cervenka). "Sono sempre stata un'anticonformista, una outsider, uno spirito-libero, un'iconoclasta – racconta la cantante di Atlanta -. Ho conosciuto Michael in modo curioso: stavo cuocendo al forno dei biscotti nella cucina di mia madre nel 1983, quando ‘Power for Power' dall'album 'Filth' degli Swans fu trasmessa alla radio del college locale. Ho chiamato la radio e ho domandato chi erano e dove avrei potuto ottenere l'album. Ho suonato quell'album all'infinito. Scrissi all'indirizzo sul retro copertina, ed entrai in contatto con Michael Gira, che m'invitò a New York per ascoltare le prove degli Swans. M'innamorai di lui e mi trasferii a New York". 



Greed è un'opera meno apocalittica delle precedenti, ma ugualmente inquietante, con rintocchi di piano in stile horror e la voce ammaliante di Jarboe a declamare storie di perdizione e morte, come "Nobody", "Fool" e "Stupid Child". Un discorso ripreso un anno dopo con Holy Money, dedicato al tema del potere e del denaro, in cui le atmosfere funeree si abbinano a una singolare predilezione per un rock da camera più atmosferico ("Another You", "A Hanging", "Fool"). Gli Stooges del capolavoro "I Will Fall" si trasformano, nelle piece di Gira, in vampiri di un mondo efferato e senza pace.





Swans, 'Children of  God'. - 1987 -
Dopo la parentesi degli Skins (progetto parallelo del duo, nel segno di una musica mistica vicina ai Popol Vuh), Gira e Jarboe tornano con gli Swans, per firmare il loro capolavoro: Children Of God (1987). A suonare è ora un ensemble allargato, costruito sull'asse Gira (canto e tastiere) - Westberg (chitarra) - Jarboe (canto, pianoforte e chitarra acustica). Il tema-cardine del disco è il binomio peccato/redenzione: la sottomissione alla divinità è vissuta attraverso una religiosità morbosa e opprimente. Non è mai Dio a parlare (salvo l'eccezione di "Trust Me"), bensì i suoi fedeli ("children"), protagonisti di un calvario che si snoda attraverso pannelli surreali, sospesi tra il più cupo espressionismo e le atmosfere ancestrali di una fiaba senza tempo.

Clangori ossessivi di batteria introducono la declamazione baritonale di Gira nell'iniziale "New Mind", che suona subito come una profezia senza scampo: "The sex in your soul will damn you to hell". Ma a dissipare gli spettri della dannazione provvede subito l'angelica Jarboe, che intona la litania onirica di "In My Garden" sullo sfondo di un delicatissimo accompagnamento di piano. "Our Love Lies" è un altro saggio del canto delirante di Gira, quasi un orco moribondo, che blatera parole sconnesse in un registro profondo e monocorde.



Sullo stesso schema, ma con l'aggiunta di un coro mortifero finale, è costruita anche "Sex, God, Sex", in cui la devozione a Dio si fa addirittura abnegazione sessuale. E se il sesso era la via alla dannazione di Gira in "New Mind", per Jarboe diventa invece una irrefrenabile tentazione in "Blood And Honey" ("We'll lie down in the warm green grass/ And the sun will shine on our pale shape/ Our blood will flow black in the dirt/ And a black rose will grow where we laid"). Carne e sangue si uniscono in un rituale nero, in cui il canto gregoriano di Jarboe è accompagnato da una melodia dal sapore mediorientale e dalle sonorità thrilling dell'oboe. Ma la devozione a Dio può trasformarsi anche in una overdose di estasi religiosa, come ammonisce Gira in "Like A Drug", un'altra delle sue allucinazioni, affollata di effetti horror alla Siouxsie e scandita su ritmi meccanicamente "metallici", con il coro finale ("Sha-La-La-La") che trasforma un innocuo versetto nel più agghiacciante degli incubi.
Gira cerca allora un po' di requie nella ninnananna di "You're Not Real", con arpeggi di chitarra a far da compagnia al suo baritono, sempre più sconsolato. E' solo un attimo, prima che la tempesta della dannazione torni a tuonare sulle note di "Beautiful Child" ("I will kill the child/ The beautiful child/ This is my life/ This is my choice/ This is my damnation"), in un crescendo grandguignolesco. E quando la tensione è arrivata ormai allo spasimo, ecco apparire la sacerdotessa Jarboe a chiuderci gli occhi ("Close your eyes/ And close in around me/ Say you'll do anything for me") e ad avvolgerci nella melodia tenerissima di "Blackmail", in un'oasi di quiete eterna. E' Dio a parlare nella successiva "Trust Me", esortando i suoi fedeli a un atto di fede e d'amore. Ed è un amore "reale" ("Real Love", con Gira a supplicare Dio di porre fine al suo calvario: "Take me down/ Into the cold dead earth"). Ed è un amore "cieco" ("Blind Love", con Gira a interpretare Cristo, "cold dead man" che vince la morte e risorge dalla tomba). A fugare definitivamente gli spettri di cui è affollato il disco provvede l'invocazione solenne della title track, in cui il coro ripete ossessivamente il suo inno di salvezza: "We are special/ We are perfect/ We were born in the sight of god/ Our suffering bodies will suffer no more/ We are children/ Children of God". Ma dietro la redenzione degli Swans si cela sempre l'ombra della morte. 


Children Of God è un album tragicamente gotico, improntato a un pessimismo "cosmico" in cui solo a tratti si infiltrano purissimi i raggi di sole dispensati dalla vestale Jarboe, discepola della scuola oscura di Siouxsie, Lydia Lunch, Diamanda Galás ed Exene Cervenka, ma dotata di un soprano che suona insieme arcano ed emozionante, soffice e solenne. E' il disco che segna la svolta degli Swans: dal brutale nichilismo degli esordi a sequenze sonore compiute, che mantengono tuttavia intatta la loro originalità. Ne è conferma anche 12" "Love Will Tear Us Apart", cover in due versioni del classico dei Joy Division.

Cover

Originale


Swans, 'The Burning World'. - 1989 -
I dischi successivi confermano il nuovo corso più folk e "medievaleggiante" degli Swans. Per Burning World (1989) la formazione si arricchisce del basso di Bill Laswell, della chitarra di Nicky Skopelitis, del violoncello di Garo Yellin, del sitar di Ravi Shankar e di percussionisti orientali. Il tema è sempre quello della perdizione dell'uomo, preda dei suoi peccati e della sua sfrenata voluttà (sesso, denaro, potere). Un repertorio che caratterizza anche Ten Songs For Another World (1990) di The World Of Skin, il "side project" del duo. 

Il ritorno degli Swans, con il doppio White Light From The Mouth Of Infinity (1991), segna un ulteriore passo avanti nella direzione di un folk pastorale e onirico. Con alcuni passaggi magistrali, come il medievale "Better Than You", l'ipnotica "Power And Sacrifice" e la dolente "When She Breathes", interpretata da Jarboe con un pathos degno della miglior Sinead O'Connor. L'anima più lugubre degli Swans rivive, invece, in tracce come "You Know Nothing" o "Why Are We Alive", con Gira nei panni di un predicatore folle alla Nick Cave, sospeso tra dannazione e redenzione. 



Swans, 'Love of life images'. - 1992 -
Love Of Life (1992) può contare su un brano come "Her", sorta di ballata in tre parti, la prima con il vocione di Gira supportato da un arpeggio di chitarra, la seconda con una chitarra ossessiva e la cadenza marziale della batteria, la terza con la voce di Jane Jarboe quattordicenne, incisa un'estate di tanti anni prima. E il disco prosegue sospeso tra fiabe ipnotiche ("The Sound Of Freedom") e rituali più oscuri ("In The Eyes Of Nature"), in una sorta di dolente percorso di autocoscienza.

Ambizioso, ma forse meno riuscito, Soundtracks For The Blind (1996) si avvale di nuovi musicisti, come Larry Mullins alle percussioni e al vibrafono (session-man per Iggy Pop), Vudi (degli American Music Club) alle chitarre e Joe Goldring (dei Toiling Midgets). L'elettronica d'avanguardia alla Klaus Schulze si combina con i suoni lunghi e dilatati della chitarra; suoni che sono a tratti ambientali, in altri momenti più rumorosi e distorti. L'apice dell'album sono i sedici minuti del requiem di "Helpless Child", che conferma Gira nei panni di profeta nero di un'era glaciale prossima ventura.

Escono poi The Great Annihilator (con William Rieflin dei Ministry alla batteria), che riecheggia atmosfere care ai concittadini Sonic Youth, e Omniscience. Poi la fine. Swans Are Dead, come recita il loro ultimo album. Terminata l'avventura musicale, Gira e Jarboe pongono fine anche alla loro storia sentimentale. "Michael e i suoi manager si erano accorti che la band era diventata passiva — ha spiegato Jarboe -. Michael voleva fare qualcosa al di fuori degli Swans, la band era diventata uno sforzo troppo grande". Le nuove produzioni firmate Gira (i dischi registrati come The Angels of Light, ma anche quelli prodotti per Ulan Bator e US Maple) e Jarboe (o meglio, The Living Jarboe) si riveleranno ancora valide. E l'influenza degli Swans si spiegherà con evidenza su un nugolo di musicisti votati a miscelare suoni elettro-industriali, metal e noise, come Scorn, Skin Chamber, Godflesh, ma anche Nine Inch Nails e Ministry

Tutti ricchi debitori di un gruppo che invece, nel 1999, celebrerà con ironia i propri fallimenti commerciali, nella raccolta Various Failures.




Swans,
 'My father will guide me up a rope to the sky',
 Swans. - 2010 -
Dopo la parentesi degli Angels Of Light, quasi asorpresa Gira torna a rispolverare gli Swans. E My Father Will Guide Me Up A Rope To The Sky riassume tutto il Gira degli ultimi anni di iato della sua creatura prediletta: le sue varie dimensioni di ideatore, bandleader, talent-scout, produttore e compositore confluiscono in questo lavoro, riuscendo a suonare ancora una volta veramente terrificanti e a far emergere l’uomo-Gira in composizioni dirette.

Forte del fedelissimo Norman Westerberg, dell’infaticabile Bill Rieflin alla batteria, ma anche di una piccola delegazione degli Angels Of Light (Phil Puleo, Thor Harris), degli efficaci featuring del multistrumentista newyorkese Brian Carpenter, e persino dei cameo di Grasshopper dei Mercury Rev (al mandolino) e dell’ex-figlioccio Devendra Banhart (in “You Fucking People Make Me Sick”), è la creatura più meditata, contraddittoria, auto-indulgente di Gira, e non solo degli Swans. Tra reunion e disco di un ensemble piramidale, una prova di adorazione, di auto-totemismo. Vi confluiscono spunti che provengono da ogni quando e ogni dove, ultimi per cronologia quelli di “I Am Not Insane”, una compilation di demo registrate dal solo Gira e fatte uscire in edizione limita per l’ovvia Young God (quivi gli scheletri delle presenti, tutte tranne “You Fucking People Make Me Sick”, che appartiene più a Angels Of Light e Akron/Family che ai veri Swans). Non ha una grande profondità, né particolari volontà di redenzione o dannazione, ma una semplice espansione di un suono-anima.

*Due anni dopo, The Seer, sancisce con una certa ufficialità l'entrata nella quarta era della band. Presentato con una certa pompa come il culmine degli Swans, la cui lavorazione è durata trent'anni e il cui materiale non è ancora finito, è di fatto il loro quarto doppio album, un po' il nuovo Soundtracks for the Blind. Qui però compaiono anzitutto grandi, intomorenti brani fiume, come la toccata e fuga di 32 minuti della title track (il suo record), la pura soundscape di "Piece of the Sky" (19 minuti), gli epici 21 minuti di "The Apostate". 

Il ritorno alle origini è sancito da brani come "Mother of the World", in testi ridotti a formule, nelle ripetizioni maniacali e negli effetti elettronici sfasanti, e da momenti irrazionali come "93 Ave. Blues". Due ore zeppe di visioni, iperboli, tsunami sonici, e anche di contrasti in termini di durate, stili e orchestrazioni, la cui aura mitica è sancita da uno stuolo di ospiti e collaboratori, e da una reunion di lusso con la compagna di avvenure Jarboe. Il loro punto terminale astratto.*


Contributo di Michele Saran ("My Father Will Guide Me Up A Rope To The Sky", "The Seer")


*L'album.


2012 (Young God)






di Michele Saran

Michael Gira presenta "The Seer" (a due anni quasi esatti da "My Father Will Guide Me Up A Rope To The Sky") in pompa magna, persino specificando che non si tratta della loro opera conclusiva o del loro canto del cigno. Nondimeno, i dubbi sono fugati: siamo entrati ufficialmente nella quarta era Swans. Il respiro stavolta è imponente, persino intimorente, quasi nulla imparentato con l'album precedente che, in confronto, suona come una prova generale. È un po' il "Soundtracks For The Blind" del caso, un enorme calderone d'idee sviluppate, elaborate e rielaborate negli anni, che impressiona più per l’insieme che per le singole componenti. Più che le geniali, creative frammentazioni di quel disco, "The Seer" è però piuttosto proteso a brani di durate fiume e a lunghe progressioni pantagrueliche.
Soprattutto, il disco vive di accostamenti grotteschi, appunto nelle durate ma anche nell'organico (dal soliloquio spettrale di un minuto a un tutti apocalittico di mezz'ora), finanche nello stile, dalla ballata folk al torrente wagneriano. I testi rinunciano alla verbosità del predecessore e come un tempo si riducono a formule magiche ripetute ad libitum. Come da suo modus operandi, Michael Gira ha dapprima preparato i pezzi a mo' di demo acustico e poi ha speso anni nell'arrangiarli (anche se non è dato sapere come sia riuscito a concepire questi grandi poemi con la sola chitarra non amplificata).


La title track (trentadue minuti), strutturata come una sorta di toccata e fuga, si apre infatti su di un bailamme che evoca allucinazioni di cornamuse, percussioni, mandolini alla rinfusa, come se Krzysztof Penderecki o Glenn Branca avessero dato una versione apocrifa delle loro orchestre, o - di contro - i Red Crayola avessero preso ad atteggiarsi a compositori classici. La "fuga" comincia con un duetto tra un banjo lontano e una pressa industriale, chiamando a sé droni elettronici, batterie aggiuntive, chitarre blues in sospensione, vocals vaganti, accordi di archi. È il brano più massificato di Gira, il suo record di presenze, che nel climax raggiunge un trepestio colossale. Quando muore, lascia dapprima una lunga agonia di colpi e rimbombi cavernosi, che "accelera" in senso doom, e poi produce un vuoto blues di echi scuri, armonica, slide, musique concrete. L'appendice, non così essenziale, è un baccanale dissoluto, un Tom Waits che fronteggia i Velvet Underground.



La stessa morbosità innerva i diciannove minuti di "A Piece Of The Sky": un'intro elettroacustica, pioggia concreta e pioggia elettronica, quindi un diluvio di droni vocali Meredith Monk-iani, con un rombo sonico che si fa sempre più cosmico, fino ad agganciarsi a una mareggiata di strumenti a corda e tremoli suggestivi. Improvvisamente tutto si traduce in normale pièce post-rock, fino a recuperare persino il canto in un'ultima serenata sudista, memore del periodo Band di Bob Dylan, e l'armonia torna a regnare. Per metà, il brano resta comunque in un incontaminato limbo non-rock di pura soundscape



"The Apostate", ventuno minuti, è un altro fulgido esempio di paesaggio sonoro epico, fatto di vibrazioni tonanti, elettricità, scosse, e infine una marcia percussiva e una danza tropicale che accendono la miccia della cacofonia di massa. La ripetizione maniacale di pattern freddamente costruiti dei primi dischi non esiste più, c'è piuttosto una febbrile dispersione di masse acustiche.


Al di fuori dei numeri spettacolosi, il complesso suona innamorato di una forma di minimalismo ansiogeno, come in "Mother Of The World" (dieci minuti), in cui il canto è ridotto al puro respiro, e la sezione ritmica dà una personale idea di "phasing" incontrollato, fino a quando non diventa psichedelia elettronica e baccanale di boccacce blues, a spegnersi in senso acustico e a trovare una fisionomia-canzone (o meglio un ritornello malefico). 



La formula si ripete in "Avatar": frustate minimaliste, sciacquio elettronico, recupero della forma-canzone e perdita d'intensità (per poi ritrovarla nella chiusa di boogie demoniaco).



Le oasi acustiche si dischiudono tra un colosso e l'altro, o immediatamente dopo il momento più irrazionale dell'opera ("93 Ave Blues", un pastiche di strumenti strillanti, ondate di voci e percussioni casuali che culmina in una tempesta sonica), come l'adagio dark-folk di "The Daughter Brings The Water", o quando Karen O intona il lamento country-pop di "Song For A Warrior", che fiorisce in un commovente caleidoscopio elettronico. Esattamente a metà via tra ambizione e adeguamento sta il raga leggermente atonale di "Lunacy", una litania in coro che diventa sovrapposizione di timbri metallici fino ad abbassare il volume in un umore sconsolato.







Non è il capolavoro totale degli Swans o - come dice lui stesso con perizia promozionale - di qualsiasi cosa mai registrata, ma un punto terminale col fascino dell'astrazione. Undici composizioni, di cui una è una reprise, album doppio (il quarto della loro carriera senza contare doppi live, doppie antologie, doppie ristampe), due ore straripanti di contraddizioni, visioni, indizi, ripetizioni, iperboli, molli contrasti, tensioni allungate, tsunami sonici che sfociano in altri tsunami sonici. Anche la copertina (dipinto di Simon Henwood) con i denti di Gira in una maschera di volpe-lupo, gli stessi denti che campeggiavano digrignanti nell'artwork di "Filth" (1983) trasmette senza indugio una nuova apologia metafisica. Il compositore l'ha completato, dice, in trent'anni, e non è ancora finito, disco da farsi più che da sentire; vi partecipa uno stuolo impressionante di ospiti, dalla citata Karen O ai Low, da Ben Frost ai fidi Angels Of Light e Akron/Family, soprattutto la rediviva compagna di avventure Jarboe, a completare l'aura mitica dell'operazione, ma anche il turgido cello di Jane Scarpantoni. All'ascoltatore il compito di trarre le conclusioni su una musica che ha perso i connotati del codice e ha acquisito quelli del dubbio. Anticipato dal live "We Rose From Your Bed With The Sun In Our Head", con cui ha finanziato gli alti costi di lavorazione. "The Seer" ("il veggente") è un cortocircuito dello spaziotempo rock.

Album completo.


Fonte ondarock.it

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