venerdì 6 settembre 2013

Joseph Arthur il 30 ottobre 2013 al Teatro Concordia; San Benedetto del Tronto.

Chi è Joseph Arthur?

Joseph Arthur (Akron, 28 settembre 1971) è un musicista, pittore e scrittore statunitense. Attualmente risiede e lavora a New York.
Scoperto e lanciato da Peter Gabriel a cavallo tra il 1996 e il 1997, il musicista è noto per le sue performance in cui campiona in tempo reale loop della sua voce e dei suoi strumenti cosicché la musica risuoni come un'armonia di una band di più elementi, laddove in realtà la maggior parte delle sue esibizioni lo vedono in solitaria sul palco.

Bio.

Joseph cominciò a fare musica da quando aveva 10 anni dopo aver ricevuto una tastiera elettronica da sua zia. A 16 anni suonava la chitarra al basso in due bande blues, i Frankie Starr e i Chill Factor, che si sciolsero nel 1995. Joseph però continuò a fare musica alla Firestone High School e nel 1990 cominciò a maturare caratterialmente. Negli anni 90 Arthur era ad Atlanta, in Georgia, e continuava a registrare i suoi lavori, suonando in locali e lavorando come un chitarrista commesso nel Clark Music Store.
Nel 1996 Harvey Schwartz fece sentire a Peter Gabriel (fondatore di A&R) il primo EP demo di Arthur, Cut and Blind. Gabriel e Schwartz lo invitarono per un'audizione live al nightclub The Fez di New York. Fu un successo, non soltanto perché Lou Reed era tra gli spettatori, Arthur in pochi mesi divenne cantante affermato.
Divenne il primo artista americano pubblicato da Peter Gabriel, Arthur incise il suo album di debutto al Gabriel's Real World Studios in Inghilterra prodotto da Markus Dravs (Björk, Coldplay, Arcade Fire). L'album, intitolato Big City Secrets (I segreti della grande città) fu pubblicato nella primavera del 1997, mostra la poesia musicata di Arthur accompagnata da diversi strumenti, che lui stesso descrive come "someone struggling to heal over experimental folk-rock" (qualcuno che lotta per guarire con il folk-rock sperimentale). Arthur si unì poi al Gabriel's WOMAD tour in Europa.
Dopo due anni ha pubblicato un EP (Vacancy), ottenendo una nomination al Grammy Award nel 2000 per la migliore registrazione.
Le performance dell'artista vengono dal 2002 registrate direttamente in loco e vendute immediatamente dopo l'esibizione, secondo la pratica dell'instant live.
Nel 2004 Peter Buck, impressionato dalla sua esibizione a Seattle, dove Buck vive, lo invita ad aprire concerti del tour mondiale dei R.E.M. in Canada e Stati Uniti, nel 2005 Arthur è invitato ad aprire ulteriori date anche in Europa.
Rilevante il sodalizio con la band statunitense ed in particolare col cantante Michael Stipe, il quale realizza un EP contenente 6 differenti versioni del pezzo In the Sun di Joseph per la raccolta fondi per il disastro dell'uragano Katrina. Stipe salirà sul palco assieme ad Arthur durante un concerto di quest'ultimo alla Bowery Ballroom di New York il 27 settembre 2006, proseguendo il sodalizio umano tra i due.
Nel 2006 fonda la sua etichetta, Lonely Astronaut Records, con cui pubblica il suo nuovo album Nuclear Daydream. Nel 2010 forma con Dhani Harrison e Ben Harper il "supertrio" Fistful of Mercy e insieme creano l'album As I Call You Down.

Fonte wikipedia.

Voglio approfondire: ondarock -Joseph Arthur-


Album.
  • Big City Secrets (11 marzo 1997)
  • Come To Where I'm From (11 aprile 2000)
  • Redemption's Son (10 maggio 2002)
  • Our Shadows Will Remain (12 ottobre 2004)
  • The Invisible Parade + We Almost Made It (libro) (18 maggio 2006)
  • Nuclear Daydream (19 settembre 2006)
  • As I Call You Down (come Fistful of Mercy)
  • Redemption City (2012, autoprodotto)
  • The Ballad of Boogie Christ (2013)



The Ballad Of Boogie Christ 
Act 1
2013 (Real World / Lonely Astronaut) | songwriter, soul-rock

di Gabriele Benzing

Boogie Christ, chi era costui? Forse un profeta, forse un tentatore. Un mistico e un rocker, un santo e un peccatore. O forse solo il riflesso di Joseph Arthur allo specchio.
Di certo l’ambizione non è mai mancata al songwriter americano. Ma, per il capitolo numero dieci della sua torrenziale carriera, ha deciso di puntare ancora più in alto: un doppio album più ricco che mai, attraverso cui ripercorrere le tappe della sua traiettoria esistenziale. A partire dal primo atto di “The Ballad Of Boogie Christ”, metà di un’opera il cui seguito è atteso già per l’autunno e che negli intenti dovrebbe introdurre una vera e propria trilogia.
Non un disco qualsiasi, insomma, ma un lavoro costruito e cesellato negli anni, con una ponderazione inusitata per un artista prolifico e istintivo come Arthur. “È l’album che aspettavo da anni di far uscire”, afferma deciso. “Una grande produzione con tanto di fiati e ottoni”. Tanto che “The Ballad Of Boogie Christ” segna anche il ritorno di Arthur tra le fila della Real World di Peter Gabriel dopo ormai un decennio.
Spiazzare sin dalle prime note è l’obiettivo dichiarato dell’iniziale “Currency Of Love”, che presenta Arthur nell’inedito contesto di un pop orchestrale alla Roy Orbison, marchiato da una performance vocale incisiva come non mai. “I have no real currency, but the currency of love/ I have no one to trust, but the Lord up above”, canta indossando i panni del crooner.
E sono proprio le parole a conquistare il centro della scena in “The Ballad Of Boogie Christ”, traendo spunto dalla vena più prettamente poetica di Arthur: “Tutto è nato da parole e poesie”, spiega, “come semi che sono sbocciati in canzoni”. Lo stesso procedimento di scrittura già adottato nel precedente “Redemption City”, con un flusso di coscienza contenuto a fatica nei confini dei brani. Dal punto di vista musicale, però, il parallelismo tra i due dischi non va oltre i beat sin troppo marcati di “Saint Of Impossible Causes”: a segnare il discrimine è la rilettura di “I Miss The Zoo”, che con la sua impalcatura acustica e il suo solenne bordone d’organo conquista un nuovo spessore rispetto alla versione inclusa in “Redemption City”, inanellando alla maniera loureediana i rimpianti di una vita spesa sul lato selvaggio.
La lunga gestazione di “The Ballad Of Boogie Christ” regala ai fan alcuni brani già ampiamente rodati dal vivo negli anni, a partire da una coppia di solide ballate nel tipico stile di Arthur come “Still Life Honey Rose” e “Famous Friends Along The Coast”. Allo stesso modo, la lunga lista di ospiti del disco (da Garth Hudson a Jim Keltner, da Juliette Lewis a Joan Wasser) è frutto di una serie di sessioni di registrazione che riassumono in pratica tutta la carriera recente del songwriter americano.
Non è difficile, allora, sorprendere qualche traccia del passato tra le pieghe del nuovo album: il ribollire stonesiano di “Black Flowers” fa pensare all’esperienza di Arthur al fianco dei Lonely Astronauts, mentre la classica andatura pop di “It’s OK To Be Young/Gone”, con il suo infiammarsi di chitarre nel chorus, rimanda ai momenti più estroversi di “Our Shadows Will Remain”. In “King Of Cleveland”, poi, Arthur si spinge a rievocare i luoghi della sua giovinezza in Ohio, dando voce a un miraggio di successo che si dipana tra tastiere e scenografie sintetiche.
Ma la personalità di “The Ballad Of Boogie Christ” sta nel desiderio di accrescere suoni e aspirazioni, all’inseguimento di un canone soul-rock che non si sottrae agli eccessi, da qualche parte tra il trasformismo di David Bowie e il Dylan febbricitante di “Street Legal”. Una formula suggellata dal crescendo finale di “All The Old Heroes”, inno straripante e affabulatorio che celebra l’addio agli idoli dell’adolescenza in un tripudio di archi e cori.
Brano dopo brano, la figura di Boogie Christ comincia ad assumere lineamenti sempre più definiti: “Christ would eat pizza and cut blackjack decks”, proclama Arthur nella canzone che dà il titolo all’album. Non è una semplice provocazione, la sua: perché mai un Dio che accetta di mescolarsi con la carne dell’uomo non dovrebbe c’entrare anche con la pizza o con le carte da gioco? “Christ would be savage, but Christ would be true/ He’d say if you want him then look inside you”. La verità è qualcosa che sta dentro le cose, non sopra: al cuore della realtà.
La ballata di Boogie Christ, allora, non è altro che il percorso di questa ricerca: “È la storia di qualcuno che potrebbe essere illuminato o folle o un misto di entrambe le cose”, riflette Arthur.
La vita è un continuo alternarsi di rivelazioni e silenzi, di luce e oscurità, sembra suggerire tra le pieghe di “I Used To Know How To Walk On Water”: sempre sospesa tra la vertigine della consapevolezza e il tarlo del dubbio. “I could give riches to the beggars/ And give love to the one who hates”, canta tra le note sparse del piano e il baluginare di una tromba, fedele discepolo del vangelo apocrifo di Nick Cave. “But now I watch with awe and wonder/ Doubt has now befallen me”.
Non resta che una voce solitaria, come il dissolversi di un gospel denudato. È la voce di Ben Harper, amico di sempre e compagno di viaggio nei Fistful Of Mercy. A lui è affidato il compito di raccogliere le parole che palpitano dietro la maschera di Boogie Christ: “I am here/ And I am humble/ For I know not which way to go”. Le parole di chi ha lasciato tutto dietro di sé, tranne l’umiltà della domanda.

(22/06/2013)

Tracce e fonte: ondarock -The Ballad Of Boogie Christ-

Rilasciato: 11 giugno 2013
Registrato: Catskill, New York : Old Soul Studios di Brooklyn, New York : Rebel Paese Silverlake, Los Angeles : The Carriage House di Los Angeles : Gnome Giardini di Minneapolis, Minnesota : Fiore Studio
Genere: Folk Rock
Etichetta: Real World , solitario Astronaut Records
Produttore: Joseph Arthur, Kenny Siegal ( 3, 4, 8, 9 ) , Chris Seefried ( 1 )

Fonte Wikipedia

Video della settimana per: ilmalscalzone.it

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